Il web è un mondo assolutamente bellissimo, fatto da una pletora di personalità e soggetti incredibili, discorso che vale anche per il sottoscritto ovviamente.
Ed è un mondo bellissimo soprattutto quando ci andiamo ad incanalare in discorsi inerenti al mondo videoludico.
Alla fine i videogiochi, come per ogni cosa, hanno una propria schiera di fan. Chi predilige Nintendo, chi Microsoft, chi Sony chi il PC, chi il mobile e via ad altre variopinte sottocategorie.
Non c’è nulla di male nello scegliere un marchio piuttosto che un altro, è un’attività che facciamo tutti i giorni anche quando compiamo semplici operazioni. Pensateci un attimo, anche quando vi recate al supermercato e stazionate davanti al settore biscotti, selezionate quello che più vi aggrada, per marca, prezzo, qualità.
In questo preciso istante il vostro cervello sta effettuando una scelta, una scelta che solo inizialmente potrebbe essere “logica”.
Molto spesso invece, tale e semplice operazione “disinibita” è frutto di una serie di meccanismi che il nostro cervello mette in atto e che, nella maggior parte delle volte, è “pilotato” secondo abili stratagemmi del marketing.
Un colore, la posizione, il jingle dello spot magari ascoltato poco prima in radio o TV, un flash, il camion che passa e che cita quella determinata marca, la posizione della luce: ogni più piccolo elemento è studiato nel minimo dettaglio per invogliarvi a scegliere quel tipi di biscotto piuttosto che un altro.
Lo stesso identico discorso è applicabile a tutti gli oggetti di consumo, che spaziano da quello alimentare a quello dell’elettronica (TV, stereo, console ecc.), da quello dell’abbigliamento a quello dei profumi.
Esiste, non a caso, uno studio mirato, ricerche e agenzie che cercano di intercettare, capire, modificare i gusti delle persone in base a delle semplici regole.
Messaggi subdoli, motivetti, tutto è studiato per far si che un “cliente” scelga un prodotto di una marca anziché di un’altra.
Detto altrimenti, ogni qualvolta che facciamo una scelta di un acquisto subentrano nella nostra testa una serie di fattori e variabili che ci “spingono” a preferirne uno sull’altro, in modo del tutto “autonomo” senza che nemmeno ce ne accorgiamo.
Dite che la sto sparando grossa?
Facciamo un piccolo gioco, un esperimento che molti di voi magari conosceranno, ma vi invito lo stesso a provare, c’è da rimanere sbalorditi.
Guardatevi questo video, mettete in pausa al minuto 1.15 e domandatevi se avete notato differenze:
Sorpresi? Questo è un tipico esempio di selettività del cervello umano: siamo talmente abituati a certe dimensioni, certi “pattern logici” che la nostra mente non riesce a “guardare” altrove.
Ci sono delle differenze così marcate, poste davanti ai nostri occhi, che per quanto siamo abituati a vedere certi stilemi non ci accorgiamo nemmeno dei cambiamenti più radicali.
Alla stessa maniera questi “trucchetti” da mentalista vengono applicati ai nostri oggetti del desiderio, ai brand, alle cose che acquistiamo tutti i giorni e che il nostro cervello bypassa bellamente alcuni dettagli facendoci concentrare proprio sull’illusione facendoci credere che un qualcosa sia migliore di un’altra.
Con l’avvento dei social media l’attenzione ai dettagli si è spostata dalla TV a Internet, pi precisamente in quei “posti” dove vi è un grande afflusso di persone, dibattiti, condivisione di idee e pensieri. Pensate a Twitter, Facebook, i forum di videogiochi, le parte relative ai commenti.
Concentriamoci ora nella cosa che più ci interessa, ossia console e videogames.
Magari l’avrete senz’altro notato che in alcune realtà ci siano, fisse, delle personalità che potrebbero in apparenza passare per “stupidi” troll (per chi non lo sapesse sul web i troll sono quelle figure che ostentano una certa sicurezza nello spalleggiare un prodotto facendone quasi una questione di principio, e spesso vogliono apparire per quelli che vedono a senso unico, con le discussioni che non possono andare oltre alle loro visioni della realtà).
I cosiddetti troll, agli occhi degli utenti, sono solo quei soggetti che fanno muro, fanno perdere tempo e sono così maledettamente faziosi da risultare antipatici e anche “artificiali”. Ma la vera questione è perché gli admin di X sito non intervengono mai? Perché nella maggior parte dei casi queste losche figure sono addirittura moderatori di sezione, intoccabili, e che quando parlano tutto deve essere accolto come una sentenza?
Per quale motivo poi nessuno interviene e che quando si va contro di questi individui, si incorre in sanzioni o ban? E il caso di NeoGaf (e aggiungo anche il portale N4G) è emblematico, ma questo meccanismo è un fatto appurato anche in realtà italiane.
Vi spiego come funziona ora il Social Media Influencer, figura che non avreste mai immaginato potesse esistere e invece…
… invece è un dipendente, di solito di qualche società esterna che lavora per grosse aziende (multinazionali usualmente, quelle che possono sobbarcarsi certe spese) il cui obiettivo, come dice la parola stessa, di influenzare le masse per portare più clienti ad X marchio.
Il soggetto agisce come una macchina, appare in tutte le discussioni che riguardano l’X marchio e porta diatribe anche in sezioni che non gli competono o che non gli dovrebbero interessare: inquinano discussioni anche solo per dire “ma X console è meglio, povero te che hai Y console!”.
La dinamica funziona come una macchina perfettamente oleata e avviata: esalti il brand per cui sei pagato, getti fango su quello della concorrenza.
Ora che avete le idee più chiare, prendiamo PS4 e Xbox One, prendete NeoGaf (o qualunque altro sito che volete) e cercate di applicare la regoletta. Cosa torna?
Ci sono sempre i soliti “fanboy” di Sony che stanno ovunque, intervengono per ribadire la superiorità di PS4 anche in topic inerenti unicamente Xbox One. Apri topic contro PS4 e te li chiudono, magari facendo scattare anche il ban (NeoGaf su tutti).
Perché? Perché sono dipendenti regolarmente pagati per fare questo tipo di attività; come le pubblicità ti martellano (ma sono tutelati poiché qualcuno riceve anche dei compensi per chiudere un occhio…) fino all’esaurimento, stanno ovunque pur di portare il loro verbo e guai a metterseli contro. In taluni casi si arriva anche alle offese o allo scherno solamente per aver ribadito il contrario o aver preferito Y a X.
Ragazzi miei, non sono fanboy (quelli dopo un po’ mollano l’osso, si ritirano, passano ad altro argomento) ma proprio figure professionali che in quel momento stanno facendo il proprio lavoro: il Social Media Influencer, vogliono vendervi un prodotto, una console, un gioco, una periferica, stanno pilotando una discussione per raggiungere un fine, un obiettivo.
Sono dei pubblicitari, degli psicologi pagati affinché venga esaltato un oggetto che, per molti, potrebbe essere quello del desiderio, del futuro acquisto soprattutto per la schiera di “indecisi”.
Ma attenzione, questi professionisti non sono sprovveduti, sanno fino a che punto possono arrivare, cosa possono fare e dire pur di portare “acqua al proprio mulino”, si tratta di persone preparate e qualificate che mettono in atto tutte le tecniche in loro possesso per adempiere al loro lavoro.
Venditori di automobili, di macchinette per il caffè, di televisione via parabola, di abbonamenti ADSL, di depuratori d’acqua, solo che, al contrario di questi, si mischiano tra la folla (virtuale dei social) passando per utenti “normali” salvo poi iniziare tutta una serie di “movimenti” di sponsorizzazione subdola, impercettibile ma dannatamente efficace.
Quando qualcuno nutre dubbi sulla loro figura, eccoli che creano fake account (account complementari, gestiti però dalla stessa persona… o da un team di persone), si danno man forte e spesso appaiono dal nulla a sostegno di idee e pensieri. Tra i Social Media Influencer vi sono diverse categorie di soggetti, dai tecnici agli Youtuber, dai blogger a chi realizza fan art. Tuttavia sono facilmente riconoscibili studiando il loro modus operandi (che si tratti di uno o più account) e controllando le loro spasmodiche attività tra i social.
Non è nulla di sconvolgente, è solo un metodo alternativo di fare pubblicità, di fare business ed esistono tantissime aziende che lo fanno. Si chiama anche marketing 2.0 e vi sono tantissimi libri che spiegano nel dettaglio il funzionamento dei social media visti dagli occhi del pubblicitario. Assieme al viral marketing, il Social Media Influencer è uno degli elementi chiave del marketing 2.0 perché lavora a contatto con le masse, si insinua come un virus, ne studia movimenti e preferenze salvo poi passare all'”attaco”.
Ma lo fanno in modo elegante, con cognizione, con intelligenza, omettono dettagli e fanno suscitare interesse per chi li segue, sono incessanti, magari si assentano per determinati periodi di tempo (quello utile per elaborare nuove strategie) e poi ritornano in grande forma.
Generalmente gli Influncer sono giornalisti o esperti di settore che possono dare enorme visibilità a qualsiasi post, sito, prodotto o servizio, determinandone anche il successo o un fallimento.
Coinvolgere gli influencers significa avere una pubblicità enorme ad un costo bassissimo, soprattutto se restiamo in un target specifico. Gli influencers hanno un rapporto reale con i propri seguaci che seguono i consigli dei propri beniamini e sono molto interessati a quello che condividono sui proprio social.
L’influencer per l’utente medio diventa una persona di fiducia, perché col tempo ha saputo guadagnarsi il rispetto dei suoi followers.
Adesso avete capito perché è importante il loro parere?
Tra i 100 Brand Influencers sono presenti 3 Brand italiani, ossia aziende specializzate in queste attività riconducibili a Social Media Mktg IT, Dio Social e 4Writing.
Tra i 100 Individual Influencers sono presenti 2 professionisti italiani: Scandellari all’85° posto e Franz Russo al 94° posto (due colonne portanti del Social Marketing italiano). E sono tra quelli più in voga, ma oltre di loro c’è una schiera di nuove leve, alcune pagate da Sony (così come altre da Microsoft, magari ci sono anche io di mezzo, chissà…).
Sto demonizzando questa situazione? Assolutamente no, vi sto solo mettendo in guardia da certe realtà che potrebbero operare in questo modo, anche attraverso articoli “bonariamente” di parte. E questa volta non posso che far riferimento ad un titolo che mi ha “scosso” nell’animo, quello di Eurogamer espressamente “amareggiato” per le basse vendite di The Last Guardian superato “addirittura” da quella mezza ciofeca di Dead Rising 4 e, alla fine, è colpa nostra se quel cane alato è adesso triste…
Nota Bene: Per la stesura di questo articolo mi sono avvalso della collaborazione di alcuni esperti del settore, che mi hanno fatto pervenire materiale molto importante e messomi a conoscenza di questo lato “oscuro” del marketing per quanto riguarda i videogiochi. Gli stessi collaboratori mi hanno confermato attraverso documenti e immagini che anche in diversi portali italiani viene utilizzata la tecnica degli influencer. Per ovvi motivi di privacy non sono stati divulgati i nomi degli influencer né di tutti coloro che hanno partecipato a questa indagine giornalistica.
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